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mercoledì 8 maggio 2013

La dolcezza del missionario



«Caro fratello Joseph, mi chiamo Piro-Piro, che nella vostra lingua significa “Uomo il cui colore degli occhi ricorda le tinte dorate di un tramonto sul Bosforo, visto però dal quartiere di Beylerbeyi nella parte anatolica di Istanbul” (nella nostra, invece, significa “Dal passo felpato come i Monotremi dalla lingua vischiosa”) e faccio parte della tribù degli Anga (ramo cadetto), stanziata all’interno delle foreste pluviali tropicali più recondite della zona di Aseki (a Mumeng-Labuta, più precisamente), nel distretto di Menyamya della provincia di Morobe, in Papua Nuova Guinea. La nostra tribù è quasi del tutto sconosciuta, non ha fino a ora mai avuto rapporti con altri gruppi sociali (a parte il popolo dei Wau-Bulolu, nostri acerrimi nemici) e vive ancora come vivevano i nostri avi. Non conosciamo la scrittura e il nostro sistema di numerazione contempla solo quattro numeri: ashz-lebr (zero), ph (uno), phh (due) e yeyh (dal 3 fino al 17.474, poiché nelle nostre terre non c’è nulla che conti più di 17.474 unità, a parte forse le zanzare). Noi ci troviamo bene, anche se ciò forse spiega una certa animosità, specie nei commerci: l’altro giorno Bein-Trahkl, che mi doveva yeyh ciotole di taro, che gli avevo prestato mesi addietro, me ne ha restituiti, appunto, yeyh: ma il suo yeyh ammontava a phh + phh, mentre io era certo di avergliene prestati proprio yeyh, cioè 101. Abbiamo chiesto allo stregone, che funge anche da mediatore, che ha confermato che l’ammontare del debito era esattamente yeyh ciotole di taro. Non credo ne usciremo. Ma la cosa più importante è che pratichiamo il cannibalismo alimentare, sia nella forma endocannibalica sia in quella esocannibalica. Da poco tempo mi sono convertito al Cristianesimo e un problema mi angustia: sento il bisogno di parlarne con qualcuno. Tutto è cominciato 6 mesi fa, quando con alcuni membri della tribù mi trovavo a caccia vicino alla radura dell’albero morto. Mentre stavamo tendendo l’agguato al babirussa, che noi mangiamo con una certa voracità, abbiamo visto una piroga scendere lungo il fiume. A bordo vi erano tre esseri, molto strani sia per la foggia delle vesti sia per il colore dell’incarnato: erano bianchi come il latte del facocero. Subito abbiamo pensato fossero dei ropen (specie di mostri mangiabambini secondo la nostra religione, che è di tipo animista, temperata però da elementi di primitivo monoteismo) sotto mentite spoglie, e quindi li abbiamo bersagliati con frecce, zagaglie e pietre lanciate con la frombola, catturandoli. Ci siamo subito accorti che quei tre avevano l’apparenza di uomini, per quanto strani: li abbiamo perciò portati al nostro villaggio. Due erano morti e quindi li abbiamo subito mangiati, anche perché era giorno di festa; il terzo era solo ferito di striscio ed essendo magro come un chiodo, l’abbiamo rinchiuso in una gabbia per ingrassarlo un po’, prima di eviscerarlo e farne la pietanza principale del successivo banchetto. A me è stato affidato il compito di provvedere al suo nutrimento, dandogli specialmente foglie di aibika (Abelmoschus manihot, appartiene alla famiglia delle Malvacee) e uova di bilu (un volatile che fa parte degli uccelli passeriformi, nome scientifico Amblyornis macgregoriae), che sono molto caloriche. Vivendo accanto a lui mi sono accorto che parlava bene la nostra lingua e abbiamo conversato parecchio. In breve: era un missionario mandato nelle nostre terre per civilizzarci. Con me ci ha messo poco, anche perché non è che vivere in una foresta alluvionale e cacciare l’echidna dal becco lungo di Sir David sia tutto ‘sto spasso. Quindi mi ha battezzato (col nome di Emanuele Filiberto) e sono diventato cristiano. A forza di chiacchiere e ridendo e scherzando, ha però messo su un venti chili e quindi gli anziani della tribù hanno deciso di usarlo per il banchetto del 12 maggio (festa della mamma). Ho cercato di convincerli a non farlo, esortandoli alla moderazione e alla temperanza; ho invocato la misericordia divina e umana, invitandoli a pentirsi e a cambiare vita, seguendo l’esempio di Nostro Signore, che è morto anche per i peccati cannibaleschi, ma niente da fare: come parlare a quel muro. Anzi, ho persino rimediato, proprio dietro l’orecchio, un colpo di keteriya (un’ascia da battaglia molto diffusa da noi) da Iro-Nigo, notorio goloso. Morale della favola: padre Epitaffio, questo il suo nome, è finito arrostito sulle sacre pietre del fuoco del villaggio. Ora io mi sento colpevole per non averlo salvato e temo di andare all’inferno, argomentazione sulla quale il buon Epitaffio, nei momenti convulsi della sua estrazione dalla gabbia, insisteva con una certa vivacità dialettica, anche se non con la lucidità, la pacatezza e la bonomia che aveva dimostrato nei nostri lunghi conversari pre-eviscerazione, specialmente dopo una frittata di 12 uova di bilu. E fosse solo questo: mio padre e i miei fratelli sono stati tra i più entusiasti partecipanti al festino, tanto che la sacca testicolare del buon Padre ora fa bella mostra di sé al collo del mio papà come borsa da tabacco. Io sono in ambasce anche per la loro sorte eterna, perché sono comunque parenti e mi scoccerebbe saperli a bruciare nel fuoco inestinguibile. Vi chiedo perciò: siamo condannati tutti quanti ad arrostire nel luogo della sofferenza senza fine e senza requie? Grazie cari fratelli, se potete rispondetemi per posta, perché qui è meglio non venire, ché babirussa e facoceri ce ne sono pochi e la gente ha fame. Piro-Piro (Emanuele Filiberto), Papua Nuova Guinea.  
(scritto sotto dettatura - Ufficio postale di Port Moresby)» 

Caro Fratello nella Fede, non devi temere alcun male: questa è la prima cosa che mi sento di dirti. Nostro Signore Gesù Cristo non ha mai condannato il cannibalismo e quindi, sul punto, mi pare opportuno tranquillizzarti. C’è, è vero, un breve e probabilmente apocrifo accenno al cannibalismo in Le 26, 27-29, dove è aspramente condannata tale pratica, ma la miglior dottrina (fra i molti, puoi consultare: 
Holbrook F.B. (1986). Seventy weeks, Leviticus, and the nature of prophecy, Washington, D.C., Biblical Research Institute: 346-394;

Mayjee,  Philip (2011). Leviticus in Hebrews. A transtextual analysis of the tabernacle theme in the Letter to the Hebrews, Bern-Oxford, Peter Lang: 33-75;

Bibb Bryan D. (2009) Ritual words and narrative worlds in the book of Leviticus, London-New York, N.Y., T & T Clark: 130-182)
ritiene che la maledizione si applichi solo al cannibalismo rituale. Mangiare un morto non sarà il massimo del bon ton, ma di sicuro non è contrario alle Verità della nostra Santa Fede. Diversa è la questione dell’omicidio, perché è questa, la faccenda principale. Su questo non si scherza: la nostra Santa Religione non ammette l’omicidio, se non nei casi previsti dal Catechismo della Chiesa Cattolica (d'ora in poi, per comodità, CCC) e dal Codice di diritto canonico, e tra questi la fattispecie da te descritta non rientra. Quindi: si può mangiare un morto, ma non si può uccidere un vivo solo per mangiarlo (a meno che la finalità edule non sia la conseguenza non voluta e non premeditata di una Santa Azione a Difesa dell’Unica Fede, come il rogo di un prete modernista o la soppressione di un celiaco). Qui, per scampare alla giusta punizione che il Signore ha stabilito, fin dai tempi di Mosè, per coloro che privano della vita un fratello, occorre seguire la procedura del caso: ammissione sincera e accorata del peccato mediante confessione auricolare a un presbitero, pentimento franco e leale (nella forma della contrizione, ci raccomandiamo, non dell’attrizione, che non serve a nulla, anzi, è quasi peggio), accettazione della pena inflitta dal sacerdote, espiazione secondo le modalità e i tempi indicati nell’irrogazione della penitenza, riparazione al male commesso, in forma specifica laddove possibile o in forma monetaria, se la via della riparazione per equivalente fosse impedita dalle circostanze fattuali: ad esempio, lo stupratore deve pagare le spese per la chirurgia plastica di ricostruzione dell’imene, se la congiunzione carnale forzata in vaso debito è avvenuta a danno e vituperio di una donna non già deflorata; ma se la verga fosse stata introdotta contro la volontà della femmina in una vagina che già fosse stata percorsa legittimamente e in profondità da uno o più peni o se l’inserzione del membro virile fosse avvenuta solo nel di lei ano e non ci fosse necessità di interventi medici (vuoi per le misere dimensioni dell’asta fallica, vuoi per la particolare cedevolezza del tessuto sfinterico della donna, vuoi per l’uso di specifici lubrificanti durante l’atto sodomitico, vuoi per la collaborazione della femmina, la quale avesse ad esempio rilassato il muscolo anale e assecondato, con sapienti allargamenti del pertugio escretore, la spinta propulsiva dell’asta carnosa e turgida), allora la riparazione assumerà la forma del risarcimento del danno monetizzato al tasso di cambio attuale e secondo l’andamento dello spread e dell’Euribor, oltre ai canonici dieci PaterAveGloria. Tornando a noi, dicevamo del cannibalismo praticato nei confronti di un uomo ucciso al solo scopo di volerlo divorare: e qui il peccato mortale è evidente. Bisogna però ricordare che, se la materia è, per il Catechismo della Chiesa Cattolica, indubitabilmente grave (CCC, n° 1858), per meritare l’inferno occorrono anche la piena avvertenza e il deliberato consenso (CCC, n° 1859): e non mi pare che dei selvaggi trogloditi, lussuriosi e compulsivi come dici siano i tuoi simili possano essere in grado di capire che uccidere il prossimo (per mangiarlo, per imbalsamarlo o per miniaturizzarne la testa come gli indios Yanomani, la cosa non rileva) è peccato. Vogliamo intendere: l’hanno sempre fatto, da che mondo è mondo, come possono sapere che è sbagliato? Nessuno gliel’ha detto, che è peccato: sono come degli animali, innocenti e puri, per quanto disgustosi.

Ci direte: e la legge naturale, eterna e immutabile? 

“Presente nel cuore di ogni uomo e stabilita dalla ragione, la legge naturale è universale nei suoi precetti e la sua autorità si estende a tutti gli uomini” (CCC, n.1956)

 E si deve forse ignorare la basilare affermazione della Chiesa del Signore (CCC, n° 1860), giusta la quale – se l'ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l'imputabilità di una colpa grave – si presume però che nessuno ignori i principi della legge morale che sono iscritti nella coscienza di ogni uomo? Benedetti figlioli, ma il Catechismo lo si deve leggere tutto, mica lo si può spezzettare e becchettare a piacimento. 

“Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare” (CCC, n° 846)

Qui ci sono da precisare due cose. La prima è che Dio è Creatore di ogni cosa, vivente e non vivente, anche quindi dei membri della tribù di Emanuele Filiberto. È innegabile che a costoro la Rivelazione Cristica del Verbo Incarnato non è mai arrivata, visto che la Vera Religione si è sviluppata, nello spazio e nel tempo, secondo direttrici ben precise fissate fin dall’Eternità in conformità al Piano Divino, che non ci è dato conoscere nella Sua Complessità. Ora, se la direttrice Gerusalemme-Roma, tanto per dire, o quella Efeso-Corinto, sono state ampiamente percorse dai fedofori glossolalici itineranti fin dal tempo dei primi Apostoli, non pare che la tratta Cafarnao-Aseki-Mumeng-Labuta (distretto di Menyamya, provincia di Morobe, Papula Nuova Guinea) sia stata particolarmente trafficata. Il perché, Dio solo lo sa: quel che è certo che quei selvaggi non ne hanno mai saputo nulla, dei Misteri della Nostra Bella Fede. Quindi, se Dio li ha creati cannibali, chi siamo noi per dire che devono andare all’inferno? Che ne sapevano, loro, che non si mangia la gente? O vogliamo forse pensare che Dio ha voluto fare delle preferenze, rivelandosi inizialmente (e poi per lunghissimi secoli) solo agli ebrei, ai greci e ai romani e lasciando invece che i maori o i borneiani o i galapagosiani o i papuanuovaguineesi continuassero la loro vita peccaminosa per poi ficcarli nelle fiamme dell’inferno così, senza che loro nemmanco sapessero che ci fosse, l’inferno? Non vi parrebbe, questa, un’ingiustizia indegna della Perfetta Bontà e dell’Assoluta Misericordia di Colui che è, che era, che fu, che sarà, che sarà stato e che fu stato? Ma lo sapete che c’era una popolazione, in Patagonia, che aspirava il fumo sprigionatosi dallo sterco di guanaco essiccato (bruciato appositamente in specifiche cerimonie), raggiungendo in tal bizzarro modo una specie di trance? Qui le ipotesi sono due: o tra i patagonici regna satana, e quindi Dio non ha alcuna autorità su di essi, ciò che è blasfemo solo pensarlo; oppure anche i patagonici sono figli di Dio, com’è naturale che siano, e quindi a Dio va benone che i patagonici si pippino il fumo di sterco incandescente del guanaco. Avrà i suoi motivi per permetterlo: possiamo forse noi sindacare le scelte di Nostro Signore? O vogliamo forse pensare che tutto dipenda dal caso? Mettiamo che uno spericolato e ben palestrato missionario si spinga fin nelle foreste di Sarawak a portare la Buona Novella agli Iban: e se gli si rompe la pagaia? E se cozza contro un banco di sabbia e finisce a mollo, salvandosi per miracolo dal coccodrillo appostato per azzannarne le terga? Lo obbligate voi, a trovare un’altra canoa, se siete capaci: quello lì, secondo noi, chiederà di essere assegnato a una parrocchia di Centocelle, che sarà quel che è, ma almeno non si sbatte contro i coccodrilli e non si finisce a bagno tra i piranha. E se si prende uno stiramento al muscolo coracobrachiale e non riesce a raggiungere il villaggio dei cannibali e gli tocca fermarsi alla stazione di posta della Compagnia delle Indie e lì si becca la malaria e decede? Non penseremo mica che è colpa dei selvaggi se il missionario non aveva le braccia come i fratelli Abbagnale, si spera. E mettiamo pure il caso che il missionario ci arrivi, tra i selvaggi cannibali e questi, come sono soliti fare con gli estranei, gli tirano una cerbottanata al curaro: addio missionario e addio evangelizzazione, ma anche in questo caso non è colpa dei cannibali, che hanno solo fatto quello che Dio gli ha insegnato a fare: tirare frecce, mangiare babirussa e, se del caso, anche esseri umani. Quindi, secondo la nostra esperienza e la nostra conoscenza delle cose umane e divine, i parenti di Emanuele Filiberto possono stare tranquilli, giacché l’inferno è riservato ai peccatori veri. E qui veniamo alla seconda questione che volevamo affrontare. Il n° 846, sopra ricordato, recita: “non potrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare”. Lo riproponiamo testualmente perché qui bisogna fare tanto di cappello all’estensore del Catechismo, tanto l’avvertimento è formulata in maniera straordinaria. A prima vista, sembra condannare all’inferno gli eretici, gli scismatici e gli apostati. Ma se lo si legge bene, se avrà la prova definitiva dell’assoluta bontà e misericordia della Santa Romana Chiesa. Perché ciò che l’Eterna Sposa del Signore vuol dire è che finiranno all’inferno solamente coloro che, pur sapendo (leggi: pur sapendo realmente) che la Chiesa è l’unico mezzo di redenzione, rifiutano la Chiesa medesima. Fuori di metafora: l’inferno è destinato a chi, pur sapendo che l’unica via per la Salvezza eterna è la Chiesa di Roma, ha consapevolmente rifiutato di far parte di quest’ultima; chi non lo sapeva, o non lo sapeva bene, o ne aveva un vago sentore ma non la certezza, o lo sospettava, costoro sono salvi e destinati al Paradiso. Quindi basterà dire, nell’ora del giudizio supremo: “Ma io mica lo sapevo, che la Chiesa era l’unica redentrice”. E se qualcuno ribattesse “Ma come non lo sapevi? Ma se te l’ha detto il parroco in persona, padre Epicarmo, c’ero lì anch’io, ricordo benissimo”, la risposta salvifica sarebbe a portata di mano: “Oh, a parte che quella volta lì avevo il raffreddore e non ci sentivo bene, per quello che ne sapevo il parroco poteva essere un impostore, e io agli impostori non ci credo. E comunque si sapeva benissimo che quel parroco lì era uno di cui ci si poteva fidare poco, mi avevano detto che faceva la cresta sulle offerte della san Vincenzo, ti pare che a uno così gli si possa credere? No, fratello carissimo, io non sapevo veramente che la Chiesa era l’unica salvezza: e se non lo sapevo veramente, non mi potete spedire all’inferno, che il Signore mi perdoni l’orgoglio presuntivo”. Eventuali repliche del tipo: “Ohé, giovine, troppo comodo, cavarsela così: tu lo sapevi, non puoi negarlo” sarebbero facilmente neutralizzabili: “No, dilettissimo fratello in Cristo e nella Fede: un conto è che te l’abbiano detto, un conto è saperlo: che me l’abbiano detto sarà anche vero, ma che io lo sapessi è tutto da dimostrare. Ad esempio: mi hanno detto più volte, anche quel santissimo ebdomadario che è Famiglia Cristiana, che Berlusconi va con le ragazze facili; ma io, che lo faccia o l’abbia fatto, non lo so realmente. Mica c’ero, io, nel privé. Quindi, come non posso dire di sapere veramente che Berlusconi paga le signorine (anche se magari lo suppongo; anche se lo posso ipotizzare: ma saperlo davvero, non lo so), allo stesso modo io non posso dire si sapere che la Chiesa cattolica è necessaria per la Redenzione: lo immagino; mi pare un’ipotesi corroborata da una sua solidità estrinseca e intrinseca; non mi riesce del tutto inimmaginabile; ci sono testimoni di questa eventualità dotati di una certa attendibilità: ma saperlo davvero (perché quel “non ignorando” vuol dire “sapendo”) mi pare eccessivo”. Poi dobbiamo aggiungere che, a mente del n° 847 del CCC, l’inflizione della dannazione eterna a quelli che “non ignorano” non si applica a coloro che, senza loro colpa, non conoscono Cristo e la Chiesa: infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna (Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 14). A noi pare che quei boscimani o ottentotti o zulù o daiaki o come si denominino comunque i selvaggi di cui parla il nostro Fratello Emanuele Filiberto siano sinceramente alla ricerca di Dio: se poi gli evangelizzatori si presentano non invitati, di soppiatto e vestiti in maniera strana, non è che poi si possono lamentare che gli hanno tirato la zagaglia nella schiena: dovevate avvisare con i segnali di fumo o con il tam-tam, mandare un dispaccio, farsi precedere da Zambo, la guida ammaestrata: insomma, un minimo di buon senso e di buona educazione. Quindi, caro Fratello, stai tranquillo, sia per te sia per i tuoi cari: finché arrostite uno zio morto di morte naturale o un avversario ucciso per legittima difesa, va bene, non è peccato; certo, esteticamente e culinariamente noi opteremmo per l’imbalsamazione, per l’incinerazione o per l’ordinaria inumazione in terra consacrata, ma l’importante è che non uccidiate un uomo per mangiarlo, perché non si può: il Decalogo parla chiaro. A presto, fratello caro: ci auguriamo tu ti sappia fare apostolo in quelle terre lontane, desolate, acquitrinose, malariche, infette e prive del Conforto della Lieta Novella, terre nelle quali però, da oggi, sappiamo essere germogliata la gemma delle fede: a te il compito di tenerla viva, e propagarla, ad maiorem Dei gloriam. A ciò noi innalzeremo auspici, lodi e intenzioni all’Altissimo. Buona fortuna. Che 20 kiloJesus di benedittanza si posino su di te,
Joseph

3 commenti:

  1. Il processo di territorializzazione pastorale può essere inteso come un processo di appropriazione dello spazio che implica relazione tra luoghi differenziati in cui si muovono i missionari, disegnando tracce ora più dense – nelle stazioni missionarie principali, costruite nei villaggi – ora più leggere – nelle stazioni missionarie secondarie, stabilite nei seringais o nelle vicinanze – e definendo traiettorie in questi dislocamenti.

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  2. https://www.facebook.com/LegioneBlasfema

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  3. Illuminanti, competenti e inteligenti, siete fantastici! Grazie!

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